I cibi grassi, come ad esempio le patatine fritte, creano una vera e propria dipendenza: una volta che si inizia a mangiarli, stimolano un’irrefrenabile voglia di introdurne ancora. Ma perché succede?
Lo spiega il Dipartimento Drug Discovery and Development dell’Istituto italiano di Tecnologia, con uno studio atto a capire i motivi che risiedono dietro a questa dipendenza.

In base a quanto dimostrato, non sono tanto gli zuccheri e le proteine contenuti in questi alimenti, ma sono gli endocannabinoidi ad avere un ruolo fondamentale sulla voglia dei cibi grassi.

Si tratta di sostanze che il corpo umano produce naturalmente, e sono chiamati endocannabinoidi perché il THC qui contenuto, che è il principio attivo della marijuana (Cannabis), ne mima gli effetti, compreso quello del desiderio di cibo. I cibi grassi generano un segnale di feedback positivo nella lingua che, comunicando col cervello, attiva un sistema di trasmissione verso lo stomaco e rilascia sostanze che regolano la sensazione di fame e sazietà.

Gli endocannabinoidi generano quella sensazione di continuo desiderio, così come avviene con le dipendenze. Se dunque quando mangiamo un paio di patatine fritte, queste sembrano non saziarci mai e viene un’incredibile voglia di mangiarne ancora, è colpa di queste sostanze. È un pò come se la patatine fritte fossero una sorta di droga.

Questo fa comprendere ancora di più come nelle diete venga consigliato sempre di escludere totalmente i cibi grassi, poiché mangiarne un poco induce naturalmente a volerne ingerire sempre di più. Ancora una dimostrazione, dunque, che la fame è questione di cervello e chimica e che può essere arginata con piccoli accorgimenti: propendete per un’alimentazione sana ed equilibrata, ricca di verdure, di frutti e alimenti contenenti tanti liquidi, e con il giusto apporto di carboidrati e proteine.

Conclude Daniele Piomelli, autore dello studio: “Oggi, le soluzioni contro l’obesità non sono molte e, comunque, sono piuttosto invasive o hanno degli effetti collaterali decisamente importanti. La possibilità di inibire a livello locale, e non centrale, il desiderio di ingerire i grassi sarebbe un grandissimo passo avanti, con innumerevoli vantaggi per la salute del paziente”.

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