Non è vero che l’arte non paga se si decide di frequentare una scuola di teatro, musica, cinema o belle arti negli Stati Uniti. Lo rivela una ricerca dello Strategic National Arts Alumni Project (SNAAP), istituto di ricerca che ha sede presso l’Indiana University Center for Postsecondary Research at the School of Education. Dall’indagine, commentata dal blog Marginal Revolution, e condotta su 13.000 studenti diplomati in cinque anni diversi al termine di 154 differenti corsi artistici (sono considerati conservatori, accademie, facoltà universitarie, scuole d’arte, ecc…) emerge che ben il 92% ha un lavoro. Oltre la metà (il 57%) dichiara di lavorare professionalmente come artista (41%) o di averlo fatto in passato (16%). Sono esclusi dal questo 57% coloro che dichiarano di aver lavorato o di lavorare come insegnanti o amministratori in scuole d’arte.

Ben due terzi dichiarano che il loro primo lavoro, una volta conseguito il diploma, era già molto vicino alle aspirazione coltivate durante gli studi. C’è anche una forte percentuale (il 14%) di artisti diplomati che hanno fondato una propria compagnia. In genere si dichiarano quasi tutti molto soddisfatti del lavoro (il 47% gradisce per esempio la possibilità di mettere a frutto la propria creatività), ma solo un terzo lo è della sicurezza della propria posizione lavorativa, ed è scarsa anche la soddisfazione per gli introiti.

E infatti la scarsa remunerazione economica è stata la prima ragione a motivare chi ha rinunciato a una carriera artistica e ha deciso di intraprendere un altro lavoro. Il 54% di chi ha fatto questa scelta, tuttavia, dichiara che comunque quanto studiato è molto utile anche nella professione non artistica che svolge al momento; e comunque 4 ex artisti su 10 si dedicano al teatro o alla musica nel tempo libero.

Questi sono solo alcuni dei dati più salienti. Quello che colpisce di pi è la percentuale di occupati: 92%. Chissà cosa verrebbe fuori se un’indagine analoga venisse condotta in Italia. Però è anche vero che la situazione occupazionale dei giovani è talmente drammatica nel nostro Paese, che forse ormai non c’è troppa differenza nelle prospettive occupazionali di un ballerino, un avvocato e un commercialista.

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