Sono circa 600mila gli italiani colpiti da Alzheimer: lottano contro una malattia per la quale ancora oggi non esistono cure efficaci e che, danneggiando le attività cerebrali, mina pesantemente la qualità della vita. Alle terapie farmacologiche vanno dunque affiancate quelle soluzioni capaci di restituire almeno in parte un benessere sociale, emotivo e relazionale ai malati. E’ questo l’intento delle cosidette terapie complementari, attività che affiancano le cure tradizionali, i cui benefici sono evidenti ai familiari e stanno suscitando interesse anche tra i medici.

Le terapie complementari agiscono sulla sfera emotiva, psicologica e comportamentale della persona, per modificare in positivo la percezione che il malato ha di sè, le sue aspettative, i suoi interessi e le interazioni sociali, con un effetto positivo, di conseguenza, anche su quanti lo assistono quotidianamente, che devono fare i conti con un sensibile peggioramento della propria qualità di vita.

Le attività cui generalmente si ricorre lavorano tutte sull’espressività, cioè puntano a stimolare la persona affinchè possa esprimere le emozioni che tiene dentro si sè e uscire dall’isolamento. Per farlo, tutte usano un tramite: l’arte, la danza, la musica, l’interazione con un animale. Ecco alcuni esempi.

Danzamovimentoterapia contro l’apatia: è una disciplina scientifica che sfrutta la danza e il movimento come cura psicofisica. Si basa sul concetto che ciascuno sviluppa la propria identità attraverso sensazioni corporee, visive, tattili e di movimento e che c’è una stretta connessione tra questo e le emozioni: il primo è il linguaggio del corpo, le seconde sono quello della mente. Ritmi e suoni evocativi risvegliano ricordi, energie e desiderio di muoversi, restituendo vitalità anche a chi ha, per via della malattia, difficoltà nel movimento.

Pet therapy per riscoprire emozioni perdute: è un’attività terapeutica che si basa sull’interazione tra uomo e animale. Quest’ultimo non è uno strumento di cura, ma piuttosto un infermiere, che per primo deve trarre beneficio dall’attività: è proprio il tipo di relazione che si instaura tra la bestiola e il malato a risultare benefica. Per questa attività non esiste un animale più adatto di un altro: la scelta viene fatta tenendo conto del benessere dell’animale e della possibilità o meno di gestirlo. L’integrazione sociale e la condivisione delle esperienze e delle emozioni sono favorite: questo permette, oltre all’esercizio della memoria e al mantenimento delle residue capacità cognitive, di abbattere l’ansia e l’irritabiità, spesso associate alla malattia. Con un animale si può essere se stessi, senza timore di giudizi, come invece può accadere con le persone.

Arteterapia per comunicare: è un’attività di riabilitazione psicosociale che sfrutta le pratiche artistiche. Il concetto di base è che i materiali artistici sono strumenti malleabili che possono rappresentare il tramite tra l’interiorità e il mondo esterno. Quello che conta, quindi, non è l’acquisizione di una tecnica artistica, ma l’espressione spontanea della propria interiorità. L’arteterapia permette di allenare i movimenti più raffinati degli arti superiori e il coordinamento occhio-mano, inoltre risveglia le residue capacità di decifrazione delle immagini e di corretta percezione delle parti.

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